La pubblicità.

Cartelloni, pop-up, banner, spot televisivi, annunci sui social media, sono solo alcuni dei mezzi pubblicitari che ci accompagnano nella vita di tutti i giorni da ormai secoli. La pubblicità ha origini antiche che risalgono ai tempi dell’Impero Romano: a Pompei, per esempio, si possono ritrovare delle scritte murali datate 79 d.C. che servivano come propaganda politica o commerciale.

Con il passare degli anni il mezzo pubblicitario si è evoluto cambiando nell’aspetto e nella forma, senza mai abbandonare il suo obiettivo primario: ossia quello di catturare l’attenzione del pubblico affinché agisca nei confronti del prodotto e/o del servizio (in poche parole, acquistandolo).

“Rosie la Rivettatrice”. Manifesto pubblicitario della seconda guerra mondiale
Fonte: wikipedia.org

Proprio perché parte integrante nelle nostre vite, la pubblicità può arrivare ad essere tanto invasiva quanto indifferente per l’essere umano (a seconda dei mezzi che si usano): si stima infatti che una persona in una giornata veda circa dai 300 ai 3000 annunci pubblicitari.

Con l’avvento di internet prima e dei social media poi, l‘advertising ha cominciato ad invadere anche l’esperienza dell’utente online, creando non pochi problemi in termini di fidelizzazione verso certi canali. Non è un segreto che un sito web ricco di pop-up, banner pubblicitari e video, non costituisca la fruizione perfetta né tantomeno inviti il consumatore a ritornare.

La pubblicità tradizionale invasiva diventa così la causa dell’allontanamento da parte del consumatore da alcuni brand. La risposta a questo trend distruttivo è stato il Native Advertising.

Fonte: content.time.com/

Con Native Advertising si intende quella forma di pubblicità online che “assume l’aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata”. Si tratta di articoli, immagini o video creati ad hoc da un advertiser che diventano parte integrante del sito e che hanno lo scopo di catturare l’attenzione del consumatore in modo non invasivo e “naturale”. Così facendo, la user experience non verrà interrotta a meno che non sia lo stesso utente a volerlo.

In questo modo, tramite sponsored post di Facebook o Twitter, la pubblicità viene celata dietro al contenuto e, paradossalmente, proprio perché meno visibile, attira un maggior numero di visualizzazioni e click sul post.

Facendo leva sul contenuto, sul design e su un linguaggio più smart, il native advertising è divenuto negli anni uno degli strumenti più utilizzati nel campo del marketing. Secondo uno studio americano infatti, il 48% delle testate e delle compagnie media americane utilizzano native advertising mentre il 39% si accinge ad inserirlo. In più, secondo l’89% degli intervistati, il native advertising è essenziale per le loro aziende, divenendo la risorsa più importante che supera addirittura il programmatic.

Fonte: milanopost.info

Ma qual è il vero successo che si cela dietro la pubblicità nativa? Secondo gli esperti, si tratta di un canale: il native advertising è una strategia mobile first. Niente di così eclatante se si pensa che ad oggi una gran fetta della fruizione online si fa tramite cellulare. E’ proprio grazie all’uso dei social (da Facebook ad Instagram, passando per Twitter e LinkedIn) da parte dei consumatori che questo mezzo pubblicitario ha potuto svilupparsi, sorpassando (e non di poco) la tradizionale pubblicità.

La volontà di creare un’esperienza tramite la pubblicità ha portato allo sviluppo, o meglio, all’incoronazione del mobile advertising: un contenuto nativo (e non imposto) in grado di offrire all’utente un’esperienza immersiva con il prodotto o servizio tramite contenuti visivi di qualità. Il risultato è la generazione di engagement ed una maggiore fidelizzazione con il brand.

Secondo lo studio “Native Advertising in Europe to 2020”, la pubblicità nativa è destinata a crescere del 156% fino al 2020, arrivando a contare un mercato da 13€ miliardi e rappresentando il 52% della quota del display advertising. Numeri da capogiro ma se ci pensa, si tratta della naturale evoluzione della sana pubblicità.

Fonte: webinfermento.it

Contenuti di qualità, target, contesto, trasparenza e valore aggiunto sono solo alcune delle caratteristiche del native advertising che secondo Forbes possono aumentare la visibilità del brand. Gli step da perseguire sono infatti:

  1. Identificare il giusto canale. Il giusto canale di riferimento è uno degli strumenti chiavi del marketing tout court, ma in questo caso si rende necessario per poter creare dei contenuti specifici per un determinato target di riferimento.

  2. Posizionare la tua azienda come un’autorità del settore. Una volta scelto il canale, assicurati che questo possa offrire le giuste opportunità per sfruttare al meglio il tuo contenuto pubblicitario. In un mare di contenuti nativi all’apparenza identici, il vostro dovrà emergere.

  3. Mettere la qualità al primo posto. Ogni volta che si procede alla creazione di un contenuto è d’obbligo mettere la qualità al primo posto. I contenuti di successo sono quelli in grado di catturare l’attenzione degli utenti. Contenuti visivi accattivanti, storie nuove e settori inesplorati sono il giusto punto di partenza.

  4. Utilizzare l’A/B Testing. Nel marketing è possibile valutare il successo di un contenuto già dal suo titolo. Per sapere se uno è migliore dell’altro in termini di engagement è possibile usare l’A/B Test, ossia un’analisi comparativa in grado di capire quale versione di una pagina (o di un contenuto) incontra al meglio i favori del pubblico.

  5. Sfruttare al meglio il Native Ads. Il giusto canale, il contenuto di qualità e l’attrativa aiuteranno il brand ad arrivare alla mente ed ai cuori dei consumatori.

Seguendo questi semplici passi, il reparto marketing dell’azienda sarà in grado di sfruttare al meglio la pubblicità nativa ed arrivare al consumatore finale senza bombardarlo di annunci che porterebbero al risultato opposto.

Il Native Ads è uno strumento prezioso per le aziende, ma l’uso scorretto o improprio potrebbe fare di un sistema immersivo, qualcosa di invasivo. E, si sa, non c’è niente di peggio che interrompere la user experience online con pubblicità dallo scarso contenuto qualitativo e dall’insopportabile carattere impiccione.

Fonte: rightmixtech.com